martedì 26 ottobre 2010

Warfare state

Quel giorno il punto d'orizzonte su cui si infrange il mare ti sembrava più lontano.




Cara Dana,

tesoro mio, ti sto scrivendo.

Oggi è stato un giorno piovoso; le nuvole ci osservano dall'alto con arroganza e ci sbattono in faccia lacrime e pioggia.

John si è acquattato vicino alla mia uniforme ed ha sorriso: gli piace che cali la pioggia, dice. Rigenera dall'odore di sangue.

Uno squarcio nel cielo si è aperto all'improvviso, mentre strizzavo l'occhio attraverso il mirino.


Prendi bene la mira

ho pensato, davanti al muso insozzato di sporco del nemico che gira per la strada prudente, si fa largo tra i cadaveri ammucchiati tra le pozze di sangue.

E ho sparato.

sabato 16 ottobre 2010

Il destino del mondo nel ventre di Francia




Povera, piccola,ingenua, Austriaca.

Ha lo sguardo disilluso di chi cerca il proprio posto, ma invano: lo sa anche lei che quei corridoi non sono più la sua casa.

Così giovane e abbandonata al suo destino; scivola da un abito in seta ad uno di piume mentre il marito, di notte, le volta le spalle.

Allora alza lo sguardo al soffitto broccato e sospira. Si sente perduta.





«Piccola regina con i tuoi vent’anni

Rispetto per la gente in te non è palese

Perciò tornerai dritta al tuo paese»











martedì 12 ottobre 2010

Di notte;


Spesso si domandava perchè desiderasse solo quello che non poteva ottenere.



L'animo umano è debole, pensò.

E' schiavo delle passioni e brancola nei vizi. Intorpidito.

Tese l'orecchio vicino la veranda: fuori,la pioggia scrosciava con vigore contro il ciglio della strada.

La luna volgeva al declino: ma la notte non dimentica i propri amori.


La sua estasi per lui era come un sogno strano.

Effimero viene da te con un abito nero ed un fiore fra i capelli, e scivola via con la tua vita fra le mani.


Spesso di domandava perchè desiderasse solo quello che non poteva ottenere.

Alzò lo sguardo sul suo volto venereo.

Lei era al suo servizio; lui era suo schiavo: ma nessuno apparteneva a se stesso.





domenica 10 ottobre 2010

Alejandro

So che siamo ancora giovani. E che tu potresti amarmi.
Ma non posso più stare insieme a te, in questo modo.
Alejandro.

E' una figura spaurita che tiene entrambe le mani in tasca.
Fuori scende la neve e lei inclina il capo. Non ti guarderà.
Lo sai anche tu che non lo farà.
Ha un'aura intorno al viso, sembra nascondere il suo amore
nella borsetta che stringe al petto.
Si guarda intorno avanzando a passetti, schiava di un sogno, librando tra i corpi che
la squassano al freddo.
Bellissima statua di giada.
Non ti bacierà; non ti toccherà.



Porta la sigaretta alla bocca, stringendo il filtro che si macchia di rosso.
Aspira,veloce. Una boccata e poi un'altra ancora.
Il fumo le annebbia sugli occhi e sparisce, si dissolve nel gelo come un
colpo che fa pieno centro.
E' un'amanta appena accennata.
Alejandro.

Non chiamarmi,non chiamarmi.

venerdì 1 ottobre 2010

MEMORIE

La prima volta che espressi a mio padre l'intenzione di scrivere su un taccuino le mie memorie, questo aggrottò le sopracciglia e, contraendo le rughe d'espressione che gli si formavano sulla nuca, scrollò le spalle scetticamente.

Era chiaro che mi ritenesse ancora troppo giovane per il compito che mi ero prefissata, e che non avessi poi molto da dire.

Mi considerava una ragazzotta viziata e capricciosa, che passava le sue giornate a fissare lo specchio e spazzolare i capelli.

La mia esistenza era vuota, dissipata in un universo di cartapesta a cui sfuggivo partecipando alla vita in società con i capelli sciolti sulla schiena e la mano di un'amica sotto braccio. In realtà, ero sola.

Allora avevo diciannove anni e credevo di conoscere il mondo; le domeniche in inverno passavo il mio tempo ammollando il corpo nella vasca bollente,e lo improfumavo con essenze di lavanda e biancospino arrivati dalla Grecia.

Quando mi sentii più matura, anni e anni dopo, guardandomi alle spalle mi sorpresi reduce di una vita vissuta solo in parte, per quanto ricca di esperienza,ed eroina infelice di una storia che doveva essere raccontata. Così, impugnai la penna d'oca e cominciai a scrivere.




La mia famiglia era una delle più ricche di tutta l'Austria. Mio nonno, Guglielmo Gelnhausen, venne eletto duca del Casato dei Wittelsbach-Palatinate il primo Agosto del 1837, in Baviera, e sei mesi più tardi sposò Maria Anna Birkenfeld una contessa palatina minuta e malaticcia.

Non ricordo molto di lei, perchè morì giovane di tisi dopo aver dato alla luce il suo unico figlio: Massimiliano Giuseppe, mio padre.

Nei dipinti di famiglia veniva ritratta con un profilo gracile e schivo, ombreggiata dai baffi scuri e dalla mole possente di mio nonno.

Doveva essere una donna molto infelice: sorrideva raramente e la sua vita fu segnata da numerosi conflitti con il marito, che i pettegolezzo additava come un uomo collerico e incline al litigo.

Mio padre costituì la sua unica ragione di vita: erano uniti da un legame simbiotico,inossidabile, marcato dai continui viaggi in Francia, in Sassonia e in Italia dove possedevano grandi residenze.

Purtroppo non visse mai abbastanza per poter osservare il suo adorato figlio diventare grande.

Il matrimonio infelice non fu l'unica maledizione che si abbattè sulla nostra vita. Anche la passione per i viaggi che di certo mio padre ereditò da mia nonna.